LA TERRAZZA DUEPUNTOZERO

// IL SIMBOLISMO DI IVAN PICENNI

” Per la prima volta eseguo in una Galleria bergamasca dei murales che rappresentano la mia infanzia. 
Su richiesta del gallerista mi sono improvvisato con i miei simboli, gli stessi che mi ricordano la vita passata e allo stesso tempo rispecchiano quella reale”

Ivan Picenni

// NUMERO 35

“Il risveglio in cascina era scandito dal rumore della natura e dal profumo del latte che tutte le mattine mamma scaldava prima di venire a svegliarmi in quella camera posta al primo piano.

Quella mattina le ante socchiuse filtravano la luce del mattino, regalando un chiarore sottile alla stanza dove dormivo. Sbirciando dalla coperta di lana e guardando verso la porta, in attesa che lei venisse a prendermi, notai che il profumo del latte era diventando sempre più intenso, non avrebbe impiegato molto ad arrivare. La porta di scatto si aprì: eccola. Mi prese in braccio e mi strinse forte a sé. Avvicinandosi al comò con un sorriso, prese una borsa e, sedendosi sul letto, iniziò a farmi provare di tutto: maglioncini, canottiere, braghette e camicine… tutto nuovo! Mi spogliava e mi rivestiva. Che strano tutto ciò, non mi sembrava vero… che belle cose! … Ma è Natale? Il capo più bello era la camicina scozzese verde e blu. Implorai mia mamma di rimettermela, ero troppo felice. Lei, con pazienza, la riprese e me la diede, felice di vedermi così contento. Mentre ero intento a indossarla nuovamente, notai sul colletto un numerino, il n. 35. Lo guardai, lo toccai. D’istinto alzai gli occhi, rivolgendoli verso di lei. Di colpo mia mamma cambiò atteggiamento. Si voltò. Il suo sorriso, d’un tratto, lasciò il posto alle lacrime che iniziarono a rigarle il viso. Mi abbracciò talmente forte quasi da farmi male. Mi strinse a sé e, accarezzandomi, mi sussurrò che non mi avrebbe mai lasciato.

Era giunto il momento. Erano sere che a tavola si parlava di qualcosa che, chissà perché, mi riguardava, e che faceva cambiare l’umore della mamma e dei nonni in conti- nuazione. Mi rimase impressa una frase che i nonni dissero a mia mamma quando lei chiese loro di abbassare la voce: “lè amo picinì… al capes mia…” (lui è ancora picco- lo… non capisce…). Lei, da grande madre quale era, sapeva che le cose non stavano proprio così. Quel numero sul colletto era la conferma a qualcosa che avevo già intuito: la mia imminente partenza verso il collegio. Mi sentii come il mio amico maiale. Tutti e due allo stesso modo fummo ingannati dalla sorte, passando per un attimo dalla felicità alla tristezza.

Come il maiale felice veniva tradito dal granoturco sparso fuori dal recinto che lo induceva a correre fino al portico dove l’attendeva morte certa, così io fui abbagliato da tutti quegli indumenti nuovi, dal sorriso e dall’affetto di mia mamma. Quel momento era toccato anche a me, anche se si trattava di un inganno che non mi avrebbe portato alla morte, in un attimo ero passato dalla felicità alla tristezza. Amico maiale, freccia dopo freccia sei corso incontro alla morte, perdendo la tua libertà e la tua vita.

Io, numero 35, freccia dopo freccia ho avuto la possibilità di rialzarmi e riprendermi la libertà che mi era stata tolta, cavalcando la vita affiancato e sostenuto dall’affetto dei miei genitori. Anche se distanti, sono sempre stati presenti in me, legati da qual- cosa che andava oltre, eliminando tutte le frecce, fino al giorno del rientro, il giorno in cui sono rinato, tornando dalla mia famiglia.”

Ricordi d’infanzia, 2022

Girafes 99, 2022

N. 35, 2022

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