IVAN PICENNI | ANGELITORI… ANGELI-GENITORI

ANGELITORI … ANGELI-GENITORI
ANGELENTS … ANGELS-PARENTS

Acquarelli e china su carta intelata Watercolors and ink on canvas-backed paper

      70 x 50 cm | 2008

STATEMENT

La serie Agelitori è di lunga data ed è un omaggio che l’artista ha voluto regalare ai suoi genitori come segno di ringraziamento. Rappresenta una fase importante del percorso di Ivan: con Angelitori entra in un mondo dove il sentimento supera anche i simboli utilizzati per rappresentare la sua infanzia. L’arte viene impiegata non soltanto a livello figurativo ma anche e soprattutto come mezzo di comunicazione.
Accantonando per un attimo i simboli che hanno caratterizzato il percorso artistico di Ivan, torniamo con la mente e con il cuore in quel collegio dove l’artista ha trascorso cinque anni della sua infanzia.
Come tutti i bambini, anche Ivan alla sera prima di andare a dormire recitava la preghierina “Angelo di Dio che sei il mio custode…” e chiudendo gli occhi immaginava che aspetto potesse avere questo angelo. Per lui gli angeli avevano i visi dei suoi genitori. Da tale associazione nasce il titolo di questa serie. Le cui opere sono state esposte in una personale a Verona, presentandosi con un’espressione fatta in gran parte di sentimento e spiritualità. E’ proprio sulla spiritualità che si sofferma l’artista. Egli sostiene infatti che si tratta di un tassello mancante, forse perché sostituito dalla rabbia. Un bambino non può sentire l’assenza dei genitori. Ivan è cresciuto in fretta, temprato dal collegio ma conscio della bontà della decisione presa dai genitori.
L’opera si impregna di forte significato e per la prima volta Ivan racconta di come ha sentito un forte senso di collegamento tra la gente e le sue opere, un legame che ha fatto passare in secondo piano la parte visiva per lasciar posto a quella emotiva, un racconto fatto di sentimento e spiritualità. Pochi tratti ad acquarello e china su carta intelata per descrivere i momenti spirituali in collegio.

 

Numero 35

“Il risveglio in cascina era scandito dal rumore della natura e dal profumo del latte che tutte le mattine mamma scaldava prima di venire a svegliarmi in quella camera posta al primo piano.

Quella mattina le ante socchiuse filtravano la luce del mattino, regalando un chiarore sottile alla stanza dove dormivo. Sbirciando dalla coperta di lana e guardando verso la porta, in attesa che lei venisse a prendermi, notai che il profumo del latte era diventando sempre più intenso, non avrebbe impiegato molto ad arrivare. La porta di scatto si aprì: eccola. Mi prese in braccio e mi strinse forte a sé. Avvicinandosi al comò con un sorriso, prese una borsa e, sedendosi sul letto, iniziò a farmi provare di tutto: maglioncini, canottiere, braghette e camicine… tutto nuovo! Mi spogliava e mi rivestiva. Che strano tutto ciò, non mi sembrava vero… che belle cose! … Ma è Natale? Il capo più bello era la camicina scozzese verde e blu. Implorai mia mamma di rimettermela, ero troppo felice. Lei, con pazienza, la riprese e me la diede, felice di vedermi così contento. Mentre ero intento a indossarla nuovamente, notai sul colletto un numerino, il n. 35. Lo guardai, lo toccai. D’istinto alzai gli occhi, rivolgendoli verso di lei. Di colpo mia mamma cambiò atteggiamento. Si voltò. Il suo sorriso, d’un tratto, lasciò il posto alle lacrime che iniziarono a rigarle il viso. Mi abbracciò talmente forte quasi da farmi male. Mi strinse a sé e, accarezzandomi, mi sussurrò che non mi avrebbe mai lasciato.

Era giunto il momento. Erano sere che a tavola si parlava di qualcosa che, chissà per- ché, mi riguardava, e che faceva cambiare l’umore della mamma e dei nonni in conti- nuazione. Mi rimase impressa una frase che i nonni dissero a mia mamma quando lei chiese loro di abbassare la voce: “lè amo picinì… al capes mia…” (lui è ancora picco- lo… non capisce…). Lei, da grande madre quale era, sapeva che le cose non stavano proprio così. Quel numero sul colletto era la conferma a qualcosa che avevo già intuito: la mia imminente partenza verso il collegio. Mi sentii come il mio amico maiale. Tutti e due allo stesso modo fummo ingannati dalla sorte, passando per un attimo dalla felicità alla tristezza.

Come il maiale felice veniva tradito dal granoturco sparso fuori dal recinto che lo induceva a correre fino al portico dove l’attendeva morte certa, così io fui abbagliato da tutti quegli indumenti nuovi, dal sorriso e dall’affetto di mia mamma. Quel momento era toccato anche a me, anche se si trattava di un inganno che non mi avrebbe portato alla morte, in un attimo ero passato dalla felicità alla tristezza. Amico maiale, freccia dopo freccia sei corso incontro alla morte, perdendo la tua libertà e la tua vita.

Io, numero 35, freccia dopo freccia ho avuto la possibilità di rialzarmi e riprendermi la libertà che mi era stata tolta, cavalcando la vita affiancato e sostenuto dall’affetto dei miei genitori. Anche se distanti, sono sempre stati presenti in me, legati da qual- cosa che andava oltre, eliminando tutte le frecce, fino al giorno del rientro, il giorno in cui sono rinato, tornando dalla mia famiglia.”

Ivan

 

STATEMENT

The Agelitori series is long-standing artwork and is a tribute that the artist wanted to give to his parents as a token of thanks. It represents an important phase of Ivan’s path: with Angelitori he enters a world where sentiment goes beyond even the symbols used to represent his childhood. Art is used not only on a figurative level but also and above all as a means of communication.
Setting aside for a moment the symbols that characterized Ivan’s artistic career, let us return with our minds and hearts to that college where the artist spent five years of his childhood.
Like all children, Ivan too in the evening before going to sleep recited the little prayer “Angel of God, you are my keeper …” and closing his eyes he imagined what this angel might look like. For him the angels had the faces of his parents. The title of this series was born from this association. Whose works were exhibited in a solo show in Verona, presenting themselves with an expression made largely of sentiment and spirituality. It is precisely on spirituality that the artist dwells. In fact, he argues that it is a missing piece, perhaps because it has been replaced by anger. A child cannot feel the absence of parents. Ivan grew up quickly, hardened by the boarding school but aware of the goodness of the decision made by his parents.
The work is imbued with strong meaning and for the first time Ivan tells of how he felt a strong sense of connection between people and his works, a bond that overshadowed the visual part to make way for the emotional one. , a story made of sentiment and spirituality. A few strokes in watercolor and ink on canvas paper to describe the spiritual moments in boarding school.

 

Number 35

“The awakening in the farmhouse was marked by the sound of nature and the scent of milk that mum warmed every morning before coming to wake me up in that room on the first floor.

That morning the half-closed doors filtered the morning light, giving a subtle glow to the room where I slept. Peering through the wool blanket and looking towards the door, waiting for her to come and get me, I noticed that the scent of milk had become more and more intense, it would not take long to arrive. The door snapped open: there it was. He took me in his arms and hugged me tightly to him. Approaching the dresser with a smile, he took a bag and, sitting on the bed, he began to make me try everything: sweaters, tank tops, breeches and shirts … all new! He undressed me and dressed me. How strange all this, it did not seem true to me … what beautiful things! … is it Christmas? The most beautiful piece was the green and blue plaid shirt. I begged my mom to put it back on, I was too happy. She patiently took it back and gave it to me, happy to see me so happy. While I was intent on wearing it again, I noticed a small number on the collar, no. 35. I looked at it, I touched it. Instinctively I raised my eyes, turning them towards her. Suddenly my mom changed her attitude. Turned. Her smile suddenly gave way to tears that began to streak her face. She hugged me so tightly it almost hurt me. She hugged me and, stroking me, whispered that she would never leave me.

The time had come. In the evenings at the table we talked about something that, for some reason, concerned me, and that made my mother and grandparents change the mood all the time. I was impressed by a phrase that the grandparents said to my mother when she asked them to lower their voice: “Lè amo picinì … al capes mia …” (he is still small … he does not understand …). She, the great mother that she was, knew that things were not quite like that. That number on the collar was confirmation of something I had already guessed: my imminent departure for boarding school. I felt like my pig friend. Both of us were equally deceived by fate, passing for a moment from happiness to sadness.

Just as the happy pig was betrayed by the corn scattered outside the fence that caused it to run to the porch where certain death was waiting for it, so I was dazzled by all those new clothes, by the smile and by the affection of my mother. That moment had also touched me, even if it was a deception that would not lead me to death, in an instant I had gone from happiness to sadness. Pig friend, arrow after arrow you ran to death, losing your freedom and your life.

I, number 35, arrow after arrow, had the opportunity to get up and take back the freedom that had been taken from me, riding life flanked and supported by the affection of my parents. Although distant, they have always been present in me, linked by something that went beyond, eliminating all the arrows, until the day of my return, the day I was reborn, returning to my family.”

Ivan

 


BIOGRAFIA

Nato il 14 Aprile 1960 a Chignolo d’Isola in provincia di Bergamo, per i primi tre anni della sua vita Ivan Picenni ha vissuto in cascina con la famiglia per poi dover abbandonare e andare in collegio fino all’età di otto anni poiché per motivi di lavoro i genitori si sono trasferiti in Svizzera. Questo avvenimento ha scatenato nell’artista la voglia, la rabbia e al contempo la gioia di raccontare la sua infanzia che ha lasciato sulla sua pelle segni indelebili, sia positivi sia negativi. Pittore autodidatta da sempre, fin dall’età del collegio, Ivan dipinge la sua infanzia attraverso la simbologia che l’ha caratterizzata, tra cui il maiale, la scala, l’aquilone, la bicicletta, le barriere, il collegio e la cascina dove ha vissuto con i genitori, prima che questi si trasferissero in Svizzera in cerca di nuove strade.
Supporti e colori perdono importanza di fronte alla volontà di ricreare quei momenti intimi carichi di tristezza, gioia, felicità e sensibilità. I ricordi d’infanzia sono ancora vividi e palpabili nella mente di Ivan, come se tutto fosse accaduto ieri. Le sue opere d’arte sono un portale in grado di traspore sia lui sia lo spettatore nel passato dell’artista, ricordi che rivivono e rinascono attraverso le sue stesse tele. In quei paesaggi rurali dove la famiglia ha vissuto per dare un futuro migliore a lui e ai suoi fratelli, lasciando poi la vita contadina e trasferendosi all’estero. L’arte per Ivan è una perenne rinascita: “La pittura mi rende libero, con lei riesco a esprimere e a rivivere la mia infanzia”. Attraverso essa i suoi ricordi riprendono vita: la cascina, sua ispiratrice, con gli animali da corte con cui giocava e le piante di cachi che le donavano colore nel periodo invernale. La stessa cascina che ha dovuto lasciare alla tenera età di tre anni per essere messo in un collegio in provincia di Novara.
Lo stesso collegio dove ha iniziato a fare i primi scarabocchi, i primi tratti infantili che lo aiutavano a ricordare e che lo facevano essere più vicino a tutto ciò che aveva lasciato: la famiglia, l’affetto e la loro vicinanza. L’infanzia l’ha segnato e con riservatezza l’ha custodita in se stesso. Crescendo però ha sentito il bisogno quasi impellente di raccontare e raccontarsi, uno sfogo per far capire al mondo chi era, perché era quella persona. E quale miglior sistema se non l’arte? Un’arte povera fatta con qualsiasi supporto materiale, un’arte fatta di simboli che ancora oggi ricorrono in tutte le sue opere. A partire dal maiale, considerato il suo grande amico, il suo grande compagno. In collegio gli dicevano di disegnare delle bottiglie panciute e, in un attimo, mettendole in orizzontale e aggiungendo le orecchiette, eccolo li, riviveva attraverso un semplice oggetto quotidiano. Altri simboli, tra loro collegati, sono senza alcun dubbio il collegio, dove ha vissuto dai tre agli otto anni, rappresentato quasi sempre da una figura architettonica triangolare; le scale, immaginarie, per poter evadere da quella prigione e tornare alla sua vita; le barriere, quelle del collegio e non solo, quelle che tutti noi incontriamo ogni giorno e dalle quali dobbiamo evadere proprio attraverso le scale e la coperta, con la quale era solito rimboccarsi, nascondendo il capo sotto di essa e affidandosi al buio consolatorio, mentre le luci di quelle stanze piene di lettini si spegnevano piano piano.
Il buio lo aiutava a immaginare la coperta di lana realizzata dalla nonna e, in un attimo, era di nuovo a casa. Un altro simbolo ricorrente sono gli acquiloni, per volare là, dove tutto è rimasto tale, quella realtà che Ivan non ha avuto occasione di vivere, da quando ha indossato la camicetta scozzese con applicato il numero 35, il suo numero di matricola in collegio.


Nella terrazza al primo piano della Galleria è possibile ammirare tre murales di Ivan.

 

BIOGRAPHY

Born on April 14, 1960 in Chignolo d’Isola in the province of Bergamo, for the first three years of his life Ivan Picenni lived in a farmhouse with his family and then had to leave and go to boarding school until the age of eight because for reasons parents moved to Switzerland. This event unleashed in the artist the desire, anger and at the same time the joy of telling about his childhood that left indelible marks on his skin, both positive and negative. Always self-taught painter, since the college age, Ivan paints his childhood through the symbolism that characterized it, including the pig, the ladder, the kite, the bicycle, the barriers, the college and the farmhouse where he lived with his parents before they moved to Switzerland in search of new paths.

Media and colors lose importance in the face of the desire to recreate those intimate moments full of sadness, joy, happiness and sensitivity. The childhood memories are still vivid and palpable in Ivan’s mind, as if everything had happened yesterday. His works of art are a portal able to transpire both him and the viewer into the artist’s past, memories that are relived and reborn through his own canvases. In those rural landscapes where the family lived to give him and his brothers a better future, then leaving the peasant life and moving abroad.
For Ivan, art is a perennial rebirth: “Painting sets me free, with it I can express and relive my childhood”. Through it her memories come back to life: the farmhouse, her inspiration, with the court animals she played with and the persimmon plants that gave her color in the winter. The same farmhouse that he had to leave at the tender age of three to be placed in a boarding school in the province of Novara. The same boarding school where he began to make his first scribbles, the first childish traits that helped him remember and that made him be closer to everything he had left: family, affection and their closeness. Childhood marked him and he kept it in himself with confidentiality.
Growing up, however, he felt the almost urgent need to tell and tell about himself, an outlet to make the world understand who he was, why that person was. And what better system than art? A poor art made with any material support, an art made of symbols that still recur in all of his works today. Starting with the pig, considered his great friend, his great companion. In boarding school they told him to draw pot-bellied bottles and, in a moment, by placing them horizontally and adding the orecchiette, there he was, he would relive through a simple everyday object. Other symbols, linked together, are undoubtedly the college, where he lived for three to eight years, almost always represented by a triangular architectural figure; the stairs, imaginary, to be able to escape from that prison and return to his life; the barriers, those of the boarding school and beyond, those that we all encounter every day and from which we must escape precisely through the stairs and the blanket, with which he used to roll up, hiding his head under it and relying on the consoling darkness, while the lights of those rooms full of beds went out slowly. The darkness helped him imagine the woolen blanket made by his grandmother and, in an instant, he was home again. Another recurring symbol are the kites, to fly there, where everything has remained such, that reality that Ivan has not had the opportunity to experience, since he wore the Scottish blouse with the number 35 applied, his matriculation number at the boarding school.


On the terrace on the first floor of the Gallery it is possible to admire three murals by Ivan.

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