ANGELITORI … ANGELI-GENITORI
ANGELENTS … ANGELS-PARENTS
Acquarelli e china su carta intelata Watercolors and ink on canvas-backed paper
80 x 60 cm | 2009
STATEMENT
Numero 35
“Il risveglio in cascina era scandito dal rumore della natura e dal profumo del latte che tutte le mattine mamma scaldava prima di venire a svegliarmi in quella camera posta al primo piano.
Quella mattina le ante socchiuse filtravano la luce del mattino, regalando un chiarore sottile alla stanza dove dormivo. Sbirciando dalla coperta di lana e guardando verso la porta, in attesa che lei venisse a prendermi, notai che il profumo del latte era diventando sempre più intenso, non avrebbe impiegato molto ad arrivare. La porta di scatto si aprì: eccola. Mi prese in braccio e mi strinse forte a sé. Avvicinandosi al comò con un sorriso, prese una borsa e, sedendosi sul letto, iniziò a farmi provare di tutto: maglioncini, canottiere, braghette e camicine… tutto nuovo! Mi spogliava e mi rivestiva. Che strano tutto ciò, non mi sembrava vero… che belle cose! … Ma è Natale? Il capo più bello era la camicina scozzese verde e blu. Implorai mia mamma di rimettermela, ero troppo felice. Lei, con pazienza, la riprese e me la diede, felice di vedermi così contento. Mentre ero intento a indossarla nuovamente, notai sul colletto un numerino, il n. 35. Lo guardai, lo toccai. D’istinto alzai gli occhi, rivolgendoli verso di lei. Di colpo mia mamma cambiò atteggiamento. Si voltò. Il suo sorriso, d’un tratto, lasciò il posto alle lacrime che iniziarono a rigarle il viso. Mi abbracciò talmente forte quasi da farmi male. Mi strinse a sé e, accarezzandomi, mi sussurrò che non mi avrebbe mai lasciato.
Era giunto il momento. Erano sere che a tavola si parlava di qualcosa che, chissà per- ché, mi riguardava, e che faceva cambiare l’umore della mamma e dei nonni in conti- nuazione. Mi rimase impressa una frase che i nonni dissero a mia mamma quando lei chiese loro di abbassare la voce: “lè amo picinì… al capes mia…” (lui è ancora picco- lo… non capisce…). Lei, da grande madre quale era, sapeva che le cose non stavano proprio così. Quel numero sul colletto era la conferma a qualcosa che avevo già intuito: la mia imminente partenza verso il collegio. Mi sentii come il mio amico maiale. Tutti e due allo stesso modo fummo ingannati dalla sorte, passando per un attimo dalla felicità alla tristezza.
Come il maiale felice veniva tradito dal granoturco sparso fuori dal recinto che lo induceva a correre fino al portico dove l’attendeva morte certa, così io fui abbagliato da tutti quegli indumenti nuovi, dal sorriso e dall’affetto di mia mamma. Quel momento era toccato anche a me, anche se si trattava di un inganno che non mi avrebbe portato alla morte, in un attimo ero passato dalla felicità alla tristezza. Amico maiale, freccia dopo freccia sei corso incontro alla morte, perdendo la tua libertà e la tua vita.
Io, numero 35, freccia dopo freccia ho avuto la possibilità di rialzarmi e riprendermi la libertà che mi era stata tolta, cavalcando la vita affiancato e sostenuto dall’affetto dei miei genitori. Anche se distanti, sono sempre stati presenti in me, legati da qual- cosa che andava oltre, eliminando tutte le frecce, fino al giorno del rientro, il giorno in cui sono rinato, tornando dalla mia famiglia.”
Ivan
STATEMENT
Number 35
“The awakening in the farmhouse was marked by the sound of nature and the scent of milk that mum warmed every morning before coming to wake me up in that room on the first floor.
That morning the half-closed doors filtered the morning light, giving a subtle glow to the room where I slept. Peering through the wool blanket and looking towards the door, waiting for her to come and get me, I noticed that the scent of milk had become more and more intense, it would not take long to arrive. The door snapped open: there it was. She took me in her arms and hugged me tightly to her. Approaching the dresser with a smile, she took a bag and, sitting on the bed, she began to make me try everything: sweaters, tank tops, breeches and shirts … all new! She undressed me and dressed me back again. How strange all this, it did not seem true to me … how beautiful things! … is it Christmas? The most beautiful piece was the green and blue plaid shirt. I begged my mom to put it back on, I was too happy. She patiently took it back and gave it to me, happy to see me so happy. While I was intent on wearing it again, I noticed a small number on the collar, no. 35. I looked at it, I touched it. Instinctively I raised my eyes, turning them towards her. Suddenly my mom changed her attitude. Turned. Her smile suddenly gave way to tears that began to streak her face. She hugged me so tightly it almost hurt me. She hugged me and, stroking me, whispered that she would never leave me.
The time had come. In the evenings at the table we talked about something that, for some reason, concerned me, and that made my mother and grandparents change the mood all the time. I was impressed by a phrase that the grandparents said to my mother when she asked them to lower their voice: “Lè amo picinì … al capes mia …” (he is still small … he does not understand …). She, the great mother that she was, knew that things were not quite like that. That number on the collar was confirmation of something I had already guessed: my imminent departure for boarding school. I felt like my pig friend. Both of us were equally deceived by fate, passing for a moment from happiness to sadness.
Just as the happy pig was betrayed by the corn scattered outside the fence that caused it to run to the porch where certain death was waiting for it, so I was dazzled by all those new clothes, by the smile and by the affection of my mother. That moment had also touched me, even if it was a deception that would not lead me to death, in an instant I had gone from happiness to sadness. Pig friend, arrow after arrow you ran to death, losing your freedom and your life.
I, number 35, arrow after arrow, had the opportunity to get up and take back the freedom that had been taken from me, riding life flanked and supported by the affection of my parents. Although distant, they have always been present in me, linked by something that went beyond, eliminating all the arrows, until the day of my return, the day I was reborn, returning to my family.”
Ivan
BIOGRAFIA
Nato il 14 Aprile 1960 a Chignolo d’Isola in provincia di Bergamo, per i primi tre anni della sua vita Ivan Picenni ha vissuto in cascina con la famiglia per poi dover abbandonare e andare in collegio fino all’età di otto anni poiché per motivi di lavoro i genitori si sono trasferiti in Svizzera. Questo avvenimento ha scatenato nell’artista la voglia, la rabbia e al contempo la gioia di raccontare la sua infanzia che ha lasciato sulla sua pelle segni indelebili, sia positivi sia negativi. Pittore autodidatta da sempre, fin dall’età del collegio, Ivan dipinge la sua infanzia attraverso la simbologia che l’ha caratterizzata, tra cui il maiale, la scala, l’aquilone, la bicicletta, le barriere, il collegio e la cascina dove ha vissuto con i genitori, prima che questi si trasferissero in Svizzera in cerca di nuove strade. Supporti e colori perdono importanza di fronte alla volontà di ricreare quei momenti intimi carichi di tristezza, gioia, felicità e sensibilità. I ricordi d’infanzia sono ancora vividi e palpabili nella mente di Ivan, come se tutto fosse acca- duto ieri. Le sue opere d’arte sono un portale in grado di traspore sia lui sia lo spetta- tore nel passato dell’artista, ricordi che rivivono e rinascono attraverso le sue stesse tele. In quei paesaggi rurali dove la famiglia ha vissuto per dare un futuro migliore a lui e ai suoi fratelli, lasciando poi la vita contadina e trasferendosi all’estero.
BIOGRAPHY
Born on April 14, 1960 in Chignolo d’Isola in the province of Bergamo, for the first three years of his life Ivan Picenni lived in a farmhouse with his family and then had to leave and go to boarding school until the age of eight because for reasons parents moved to Switzerland. This event unleashed in the artist the desire, anger and at the same time the joy of telling about his childhood that left indelible mar- ks on his skin, both positive and negative. Always self-taught painter, since the college age, Ivan paints his childhood through the symbolism that characterized it, including the pig, the ladder, the kite, the bicycle, the barriers, the college and the farmhouse where he lived with his parents before they moved to Switzerland in search of new paths. Media and colors lose importance in the face of the desire to recreate those intimate moments full of sadness, joy, happiness and sensitivity. The childhood memories are still vivid and palpable in Ivan’s mind, as if everything had happened yesterday. His works of art are a portal able to transpire both him and the viewer into the artist’s past, memories that are relived and reborn through his own canvases. In those rural landscapes where the family lived to give him and his brothers a better future, then leaving the peasant life and moving abroad.